sabato 8 gennaio 2011

ANCHE NOI ITALIANI SIAMO STATI UN POPOLO DI MIGRANTI

Oggi noi Italiani siamo soliti etichettare gli stranieri immigrati come gente “strana”, di secondo
livello rispetto a noi, dimenticandoci però che anche gli Italiani, agli inizi del Novecento, sono stati un popolo di migranti. Cominciamo innanzitutto a fare un quadro generale della situazione presente in Italia e negli altri Paesi agli inizi del secolo scorso. In Italia c’era una grave crisi economica a causa della chiusura di fabbriche e industrie, problemi di riconversione della produzione, crisi dell’agricoltura con il conseguente dilagare della disoccupazione e del degrado. Sempre in Italia e anche negli altri Paesi, in quel periodo, regnavano le dittature: quella fascista in Italia e in Spagna, quella staliniana in Russia e la dittatura nazista in Germania che ha causato enormi sofferenze al popolo ebreo, comportando lo sterminio di milioni di persone nei campi di concentramento. Queste situazioni erano davvero intollerabili e provocarono quindi una vera e propria fuga di massa continua
verso quel continente in cui le condizioni di vita per gli uomini erano migliori: l’America. Gli emigrati italiani, tedeschi, spagnoli giungevano negli U.S.A. su barche dirottate, dopo aver camminato per lunghi tratti di strada, in tutti i modi possibili, fino a costringere l’America ad elaborare un limite d’ingresso per gli immigrati affinché questi ultimi non divenissero un peso per lo Stato. C’è da dire però che gli emigrati non avevano vita facile neppure una volta imbarcati negli Stati Uniti, poiché spesso non riuscivano neanche ad entrare nel continente, perché venivano fermati al momento dello sbarco per qualsiasi, anche piccolissimo, problema di salute o problema estetico legato ad essa . Questi costituivano quindi delle scuse per gli Americani per fermare l’immigrazione, perché persone malate o donne con il capo calvo, a causa della contrazione della tigna, non avrebbero mai trovato un marito e quindi sarebbero divenute delle persone in più da mantenere. Se invece riuscivano ad entrare nel Paese, venivano incaricati di lavori molto pesanti, addirittura insopportabili: venivano mandati a lavorar nei campi o esposti a lavori pericolosi nelle fabbriche, con in pericolo delle esalazioni, poiché gli Americani sapevano che a questi immigrati serviva un lavoro a tutti i costi e non si sarebbero tirati
indietro per nulla al mondo. Anche gli Italiani, quindi, per un certo periodo, sono stati oggetto di discriminazioni e sono stati vissuti dagli Americani come un pesante fardello. Nascevano quindi in America nuovi quartieri ghetto. Questa situazione si sta ripetendo, anche se in maniera ridotta, qui in Italia con gli immigrati pakistani, marocchini che fuggono dal loro Paese per via della guerra, che miete ogni anno molte vittime, per trovare un lavoro e una sistemazione. Noi, invece  di accoglierli e dar loro una possibilità di rifarsi una vita, li consideriamo un peso e, qualsiasi cosa di negativo accada, tendiamo sempre ad incolparli accusandoli di essere gente inaffidabile. Secondo me tutto ciò non è giusto, dovremmo imparare dagli errori del passato per non commetterli più e seguire il detto “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Non è corretto pensare che un uomo non sia degno di essere trattato come gli altri e di avere un lavoro dignitoso solo perché viene da un altro Paese. Secondo la mia opinione, a maggior ragione queste persone andrebbero comprese e aiutate perché hanno diritto anche loro ad avere una vita serena come la vorremmo tutti noi.
Elisa

SBARCO DI EMIGRANTI ITALIANI A ELLIS ISLAND NEL 1911

5 commenti:

  1. noi pensiamo che gli altri sono tanti diversi cioe quelli che emigrano in italia ma alla fine noi prima nn eravamo tanto diversi

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  2. brava elisa hai proprio ragione. la prima frase dell'etichettare è verissimo. BEL TESTO!!!!!!!!!!!!!!!

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  3. molto bello sei stata bravissima a mettere a confronto noi italiani con coloro che oggi immigrano in italia

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  4. salve, sono un'insegnante di un istituto superiore. Con alcuni ragazzi della nostra scuola stiamo pensando di fare uno spettacolo per parlare dell'interculturalità e soprattutto sul concetto che siamo tutti diversi e perciò tutti uguali.
    Ho trovato per caso il vostro sito e, leggendo qua e là, sono rimasta commossa per il lavoro che siete riusciti a fare e le belle pubblicazioni che ci sono. In particolare, sono rimasta molto colpita dagli interventi di Elisa e dalla sua poesia "A mio fratello razzizta". Tanti complimenti.
    Anche i nostri ragazzi hanno composto e stanno cercando di comporre delle poesie, però, vorrei sapere se potessimo utilizzarla nel nostro spettacolo, ed eventualmente anche trasformarla in una canzone, visto che abbiamo anche un gruppo di musicisti. Grazie e a presto.

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  5. Salve, La ringrazio infinitamente per i complimenti. Volevo cominciare dicendoLe un cosa: ora anche io sono una studentessa di primo liceo e Le posso assicurare che ancora porto nel cuore il lavoro svolto l'anno scorso, mi è rimasto davvero impresso perchè la discriminazione è un problema purtroppo molto diffuso e sensibilizzare i ragazzi fin da adesso è necessario ai giorni d'oggi. Per la poesia non c'è problema, anche perchè io l'ho scritta proprio per farla leggere a tutti al fine di divulgare le mie idee perciò ben venga se La vuol portare anche ai suoi alunni. A presto

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